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A proposito dell’articolo di Giovanni Fiandaca sul processo per lo stupro al Foro Italico

Sorprende il commento del prof. Fiandaca (La Repubblica Palermo del 16/11/24) sugli esiti dei procedimenti relativi allo stupro di gruppo avvenuto al Foro Italico la scorsa estate e definiti ad oggi con tre sentenze di tre diversi organi giudicanti: condanna in primo grado degli imputati maggiorenni, condanna del coimputato giudicato dal Gup del Tribunale per i Minorenni, condanna questa confermata anche dalla Corte d’Appello.
I dubbi del commentatore evidentemente risiedono nella non conoscenza del quadro probatorio che dimostra insuperabilmente la colpevolezza degli imputati, del resto non poteva essergli noto essendosi svolti i processi nelle forme del rito camerale.
Non sembra pertanto che si tratti di dubbi ma di quell’atavico e diffuso pregiudizio verso le donne vittime della violenza maschile: le donne mentono. Stupisce infatti come nell’articolo si minimizzi la gravità delle condotte degli imputati, con implicito disconoscimento dei devastanti effetti che tali condotte hanno avuto e avranno sulla vittima; su come si arrivi a giustificare gli autori del reato ipotizzando, non si sa in base a quale elemento, che sarebbero caduti addirittura in un equivoco (nonostante anche le cronache abbiano diffuso gli sconcertanti commenti degli imputati nelle loro chat: ‘eravamo 100 cani sopra una gatta’ e molto altro).
Il richiamo alle condizioni culturali ed ambientali degli imputati, come è noto all’autore dell’articolo, per giurisprudenza consolidata, non elidono l’antigiuridicità, né la colpevolezza degli autori del reato, inoltre nessuna emergenza processuale li ha indicati come appartenenti ad un contesto particolarmente degradato o deprivato essi sono apparsi giovani come tanti altri, scolarizzati, con rapporti sociali e familiari ordinari.
La posizione espressa nell’articolo purtroppo rende ancora attuale quel giudizio espresso anni fa dalla Rapporteur dell’Onu Rashida Manjoo, che rilevava un’attitudine socio-culturale a tollerare la violenza.
Non può sfuggire che la diversa commisurazione delle sanzioni riflette l’attenzione dei Giudici sulle singole condotte di ciascun imputato e le sanzioni più elevate, come riconosciuto dallo stesso giurista, sono di poco superiore al minimo edittale previsto dalla norma. Se poi la condanna non raggiunge un’efficacia educativa, non può esserne dato carico a chi applica per legge le sanzioni, ma alle gravi carenze del sistema penitenziario nel suo complesso e ciò a prescindere dall’età e dalla tipologia di reato. Nè del resto sarebbe educativo far passare l’idea che da così gravi illecite condotte non derivi alcuna conseguenza per se e per la vittima.
L’incidente probatorio non ha risparmiato una testimonianza avvilente e defatigante con numerose e reiterate domande sulla vita privata e sessuale della vittima. La retorica sul processo vittimocentrico è dunque solo strumentale ad una visione misogina che teme quella cultura giuridica in cambiamento che tiene conto anche delle norme sovranazionali ed in particolare della Convenzione di Istambul.
In tale speciale e delicata materia, peraltro, la giurisprudenza della Corte di Cassazione ha indicato i criteri della valutazione della prova dichiarativa, con numerose pronunce che sono la risultante di un sapere acquisito, frutto di un grande lavoro di studio, di importanti ricerche ed analisi. E molte ricercatrici e giuriste, infine, come risposta alla legittima domanda di giustizia, offrono quelle lenti per leggere correttamente gli accadimenti ed applicare le norme e quelle prassi giudiziarie che tengano conto dell’esperienza femminile, volte ad affermare il diritto delle donne, dei bambini e delle bambine di vivere libere dalla violenza.

Maddalena Giardina (Centro di consulenza legale UDIPALERMO)
avvocata di parte civile al processo per UDIPALERMO e Le Onde

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